Le città universitarie sono belle e stimolanti, ma troppo care, soprattutto per gli affitti.
Sono circa 600 mila gli universitari che si stabiliscono in altre città, affrontando spese che incidono pesantemente sui redditi delle famiglie, tanto che in questo momento di crisi economica, essere fuori sede, rischia di diventare una condizione riservata a sempre meno studenti. L’accesso allo studio è strettamente legato alla capacità di sostenere soprattutto i costi abitativi: di un posto letto, una stanza singola o un monolocale quando la capacità economica è maggiore; questa spesa incide fino all’80% del budget di ogni ragazzo. L’affitto resta dunque, una delle note dolenti, ed è un problema che riguarda la gran parte degli universitari.
A prima vista il copione è quello tradizionale. Ogni anno, la caccia alla stanza per gli universitari fuori sede, entrerà nel vivo con la pubblicazione delle graduatorie dei posti letto delle residenze, o ad attenderli ci saranno centinaia di annunci, senza contare la tentazione dei contratti in nero, l’incubo degli alloggi-tugurio, ed una novità poco incoraggiante: i prezzi degli affitti per gli studenti crescono, in alcuni casi, anche del 10%. Secondo quanto calcolato da Cgil, Sunia e Udu, la voce di spesa che segue quella dell’affitto, comprende tasse e contributi universitari (quantificati in base al proprio indicatore Isee), cui bisogna aggiungere la tassa regionale per il diritto allo studio, oltre ai costi delle rette universitarie (lievitati del 5% solo nell’ultimo anno), libri e materiali didattici, le spese per le utenze, i pasti e i trasporti.
Unione Europea:
E’ sconvolgente come il confronto con altri Paesi europei, lasci il sistema culturale italiano indietro, infatti: il diritto allo studio universitario italiano offre posti letto in strutture organizzate solo per il 2% degli studenti fuori sede, contro il 10% di Francia e Germania e il 20% di Danimarca e Svezia. L’Italia è al terzo posto in Europa per entità di contributi studenteschi, come certificato dall’Ocse.